Confessions on a dance floor

Sono giorni che mi chiedo se dire,  cosa dire e come dirlo. Da anni parlo di me, del mio passato con i disordini alimentari, delle difficoltà ad uscirne e della speranza che va coltivata. Talvolta ho la sensazione che chi mi legge pensi: “ha! Facile per te! Ormai è passata, non ci sei ancora immersa”

Sí, la bulimia è un mostro del passato, di quelli che fanno capolino nei ricordi ma che se ne vanno

Ma come ho detto più volte, quando si riesce ad uscire dal sintomo (restrizione, abbuffate, vomito, ossessione) si creano due situazioni: da un lato si apre un ventaglio di possibilità nella propria vita, finalmente libera dalla dipendenza, dall’altra si apre un pozzo. 

Si, immaginate un pozzo. È lì, da tanti anni, e nessuno ha più avuto il coraggio di attingere alla sua fonte perché intorno c’erano grovigli impenetrabili di rovi. Naturalmente i rovi rappresentano i disordini alimentari, e il pozzo quell’inconscio a cui si è negato di venire alla luce.

Prendi il secchio, afferralo ora che le spine non fanno più male, calalo nel pozzo, sollevalo.  Dentro ci troverai cose che avevi tenuto nascosto a te stesso e agli altri. Fanno male, sì, possono far male. Ma se vuoi davvero assaporare l’acqua cristallina del pozzo, la devi pulire e devi prendere in mano le difficoltà e guardarle

Ecco allora che quando il sintomo alimentare va via, inizia il vero lavoro su di sè. Che può essere molto lineare, una strada su cui camminare con un passo discretamente deciso. O può essere a balzelloni, fatta di conquiste e passi avanti faticosissimi. E momenti che non avresti mai voluto vivere.

Ecco, io sono così fortunata da essermi ritrovata nella seconda situazione. Non è strano: 20 anni di disturbi alimentari di problemi ne nascondono tantissimi. Cosa fare? Cosa dire? Dico che ho delle difficoltà, che per semplificare riconduco qui ad una depressione dalle cause che solo ora riesco a vedere chiaramente 

Non è stato semplice accettare di dover vivere un momento così difficile. Ho provato molta frustrazione. Ci sono delle giornate in cui davvero tutto è più nero. E mi dico: che speranza posso infondere adesso che ho così poche energie? 

Poi ci penso, e penso a quello che si vede da fuori. Francesca va a lavorare e si sta facendo carico di responsabilità. Francesca va a correre e sorride in mezzo ai compagni di squadra. Francesca va a cantare e ci mette impegno. Francesca studia e ci prova

Mi viene facile? No. Dannatamente no. Dietro ad ogni decisione che comporta il mio stare in mezzo agli altri c’è un lavoro immenso, che solo a scriverlo ho tirato un grande sospiro. Ma io non mollo: ho scelto di esser seguita da una persona di cui mi fido, cerco di non restare nella mia comfort zone troppo a lungo. Non sempre mi riesce, dopo un momento di socialità ho bisogno di stare da sola, ad esempio, e non riesco a programmare troppe cose insieme.

Non vado oltre. Credo che questo sia l’unico modo per restare e scrivere. E forse far capire a chi ancora non riesce a staccarsi dalla sua coperta di Linus (le malattie spesso lo diventano) che sono qui, a fare la mia fatica anche io

Ma ci credo. Sempre! 

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